
“La terapia non va spiegata perché è inspiegabile”.
Spesso ci chiediamo se il percorso che abbiamo intrapreso sia giusto per noi, se il/la professionista che abbiamo scelto sia adatt* a noi, se sarà in grado di prendersi cura delle nostre ferite, se riuscirà a comprendere davvero il dolore che ci portiamo dentro. Se riusciremo, con il suo aiuto, a stare meglio, ad eliminare i sintomi che ci causano sofferenza, a vivere una vita che sentiamo degna di essere vissuta.
“Sarà in grado di capirmi? Ma è normale che la/il terapeuta in seduta mi parli di questo? Il/la mia terapeuta avrà le risposte che cerco? I suoi studi sono adatti a risolvere i miei problemi? Come funziona la terapia? E il transfert?”.
Domande più che lecite.
Ma la terapia non è solo teoria e strumenti. È relazione soprattutto.
È una relazione d’amore tra chi vuole essere curato e chi si è già preso cura di sè. E funziona, funziona, solo se sentiamo di essere pronti a entrare in questa relazione e lavorarci dentro.
Noi siamo sol*, ma siamo accompagnat*.
Anche quando sentiamo che è troppo dura, quando sentiamo di voler mollare, quando abbiamo paura di non farcela e di non riuscire. Perché chi abbiamo di fronte c’è già stato lì dentro: tunnel, sottobosco, caverna, buio, mare in tempesta, chiamatelo come vi pare.
Ognun* ci da il proprio nome, ma resta il fatto che chi si sta prendendo cura di noi sa cosa significa starci dentro e come uscirne fuori. Ne conosce le strade impervie, le onde anomale, le salite ripide.
Ci è cadut* dentro, ha annaspato, è riuscit* a risollevarsi da terra.
E saprà portarvi verso la luce, la riva, la superficie solo se riuscirete ad affidarvi alle emozioni, ai vissuti, al caos che tutto questo comporta. Solo se riuscirete ad affidarvi all’Altr* e al suo sapere, che è un sapere umano, non immune agli errori.
La terapia non è la ricerca di risposte, ma piuttosto è l’inizio delle domande.