
“Io..provo il mare. Mi scava nelle vene fino a…Riempirmi completamente…Impedendomi di respirare, o di vedere. È assurdo, lo so. Ma ogni volta che ho un attacco il mare c’è…In qualche modo”
India è una maestra elementare. Soffre di attacchi di panico e sente il bisogno di spiegarli alla sua classe; lo fa in modo accessibile ai bambini, inventando una storia con una protagonista che deve abbattere un mostro che forse non riuscirà a sconfiggere del tutto, senza armi da padroneggiare.
Lo fa per comprendere meglio se stessa ma soprattutto per raccontarsi, nonostante i genitori dei suoi alunni vogliano allontanarla dalla classe perché “malata”.
Un graphic novel che racconta una storia delicata e toccante che illumina le fragilità dell’essere umano.
Da clinico ho apprezzato l’intento di questa storia, meno la sua evoluzione, ma comunque creativa.
India e il suo alter ego nella fiaba (Hava) cercano di abbattere i tabù ancora oggi presenti verso l’attacco di panico.
Un mostro da eliminare che ti fa sentire come perso in un mare oscuro, dal quale fai fatica ad emergere.
Nel corso degli anni ho incontrato diverse persone che soffrivano di attacchi di panico ed ognuno di loro lo chiamava con un nome diverso, perché è potente, così potente che forse un nome solo per descriverlo non basta.
“Ti chiamerei…Stanchezza. Come quando non so guardarti. Sottovoce, come quando non so lasciarti. Ti chiamerei…Silenzio.
Ti chiamerei Gennaio. Come quando ti ho incontrato”
Allora cerchi di combatterlo questo mostro, di abbatterlo e ti sforzi di ignorarlo, di annientarlo senza grossi risultati, perché lui, lui torna sempre finché capisci che forse il miglior modo per sconfiggerlo è quello di accoglierlo, seguirlo nell’oscurità e comprenderlo.
Dargli un significato che sia per entrambi comprensibile e accettabile, convivendo anche insieme qualche volta.
Riuscirà India a comprendere cosa c’è nel suo mare verticale e a trovare il modo di nuotare in mezzo alle onde?
Può essere il mare la metafora che la allontana ogni volta dal suo Pier? E che le fa perdere quel senso di sicurezza e protezione che invece vorrebbe avere quando è in sua presenza? Può essere il mare a rappresentare la sua paura dell’abbandono?
Non lo so.
Quello che so è che questo libro mi fa riflettere su quanto bisogno ci sia ancora di parlare del disagio psicologico.
Quanto sia ancora necessario abbattere lo stigma delle malattie che hanno a che fare con la mente.
Credo molto, ma mi consola che vengano scritti libri come questo.
Molto interessante grazie!
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