
Chi segue il sito psicologiafondi.com sa che in alcuni casi, soprattutto per quanto riguarda il sostegno psicologico a famiglie e a coppie, è frequente che io scelga la co- terapia come forma di collaborazione e come strumento di aiuto per queste specifiche situazioni. Questo significa che lavoro con Terapeuti con i quali condivido la mia stessa passione, quella per le dinamiche relazionali. Lavorando con diverse famiglie e con diverse coppie si trascorre molto tempo insieme con il co-terapeuta e questo permette di condividere momenti di riflessione su diverse tematiche psicologiche in cui si imbatte ogni giorno.
Con la dott.ssa Valeria Gonzalez, Psicologa e Psicoterapeuta familiare e sistemico relazionale in formazione, mi capita spesso di condividere dialoghi sulla violenza, come quello che verrà riportato qui di seguito. Non di rado, insieme, ci imbattiamo in situazioni, familiari e di coppia, dove la violenza si presenta come una dinamica relazionale intrafamiliare.
La dott.ssa Gonzalez, la quale nell’intervista rilasciata chiamerò Valeria grazie alla stima e all’affetto che ci lega, ha svolto il ruolo di vice responsabile all’interno di un Centro antiviolenza provinciale per donne italiane e straniere, con o senza figli.
Valeria, data la tua esperienza nei centri antiviolenza e nella presa in carico di situazioni che hanno come tematica la violenza relazionale, sai dirmi come nasce la violenza in famiglia? Che cosa scatena comportamenti aggressivi e violenti, proprio nei confronti di chi dovrebbe essere affettivamente più vicino?
La genesi della violenza intrafamiliare è certamente multifattoriale e complessa: essa chiama in causa componenti biologiche, psicologiche, relazionali; elementi della storia individuale e della storia familiare, che, in un’ottica di complessità, sono sempre complementari e interagenti (Onnis, 1987; 2004).
Per gli addetti ai lavori è risaputo ormai che l’approccio terapeutico con cui entrambe lavoriamo, cioè il sistemico relazionale risulta un riferimento teorico utile nell’affrontare la violenza familiare, secondo te perché?
L’approccio sistemico relazionale correla l’individuo al suo sistema d’appartenenza, mettendo in evidenza le connessioni tra vissuti e storie individuali, e dinamiche relazionali e storie del gruppo familiare. Il comportamento violento, in quest’ottica, non è più considerato come episodio a sé stante, eventualmente giudicabile e sanzionabile, ma inserito in una cornice, in un contesto relazionale più ampio che permette di ricostruirne il significato alla luce degli eventi passati, di individuarne le implicazioni nella dinamica dei rapporti presenti, e di prevederne, e possibilmente prevenirne, le conseguenze nel futuro.
In quest’ottica, quindi, secondo la tua esperienza, esistono aspetti ricorrenti che, sotto il profilo relazionale, si ritrovano con frequenza nelle vicende di violenza familiare e possono, perciò, essere descritti come utile riferimento interpretativo?
La violenza familiare è un processo che si estende nel tempo e ha tendenza a riprodursi con una dinamica transgenerazionale, seguendo un ciclo ripetitivo da una generazione all’altra. Essa risulta infatti correlata alla gestione violenta dei conflitti nella coppia (Walker, 1994; Gillioz et al., 1997): crescere all’interno di nuclei familiari in cui la violenza era uno strumento di “comunicazione”, di “affermazione del potere” e/o uno “strumento per raggiungere i propri obiettivi”, è uno dei fattori principali nell’influenzare l’ereditarietà della violenza agita nelle generazioni successive, determinando il cosiddetto “ciclo intergenerazionale della violenza”, e dunque la ricorsività della violenza in molte – se non tutte – le relazioni affettivo-amorose vissute nell’età adulta (Ventimiglia, 1996; 2002). L’effetto della violenza, in altri termini, sarebbe duratura e permanente fino al punto da dar luogo, una volta divenuti adulti, a comportamenti violenti nei confronti dei propri futuri partner e probabilmente anche sui propri figli, analoghi (ma non necessariamente uguali) a quelli subiti da bambini. Una revisione del concetto del ciclo ripetitivo della violenza in chiave prettamente più familiare ha portato ad elaborare un quadro fondato sul concetto di “fallimenti relazionali” ripetuti, più che imitazione di modelli genitoriali.
Stai quindi parlando di uno “stile relazionale violento”?
Si, infatti, nella ricostruzione della storia familiare si ritrova, nelle generazioni precedenti e, in particolare, nella famiglia di origine del partner che agisce la violenza, uno “stile familiare violento”, in cui le relazioni e le emozioni utilizzano l’agito più che il pensiero. Un individuo che ha vissuto le prime fasi dello sviluppo nell’incertezza dei legami e delle rassicurazioni affettive, o che può essere stato, egli stesso, vittima di maltrattamento, di trascuratezza o abuso, viene traumaticamente segnato da tali esperienze, presentando una distorsione nell’organizzazione cognitiva ed emotiva: in particolare può essere esposto ad assimilare un modello “disorganizzato” di attaccamento, che, per la mancata acquisizione di una auto regolazione affettiva, può portarlo da adulto, alla riproduzione del comportamento violento (Bowlby, 1984). I bambini che assistono a conflitti familiari caratterizzati da alti livelli di aggressività espressa sono da tempo considerati veri e propri maltrattamenti (Documento CISMAI, 2003), sia perché, in sé, il comportamento violento risulta traumatizzante, sia perché il genitore violento fallisce nel compito protettivo, non preservando i figli dall’esposizione alla propria violenza. La violenza sulle madri, ad esempio, è alla base di molti casi di violenza assistita subita da minori: il maltrattamento continuato nel tempo porta la madre-vittima all’isolamento e produce una condizione di impotenza che investe anche gli aspetti della genitorialità.
Un genitore maltratto è stato probabilmente un bambino maltrattato quindi?
Un genitore maltrattato è un genitore traumatizzato: la violenza, soprattutto se protratta nel tempo, oltre a danni fisici di vario tipo, può produrre un gran numero di sintomi assimilabili al disturbo post-traumatico da stress. Questi influenzano fortemente la relazione con i figli e le capacità di accudimento e di attenzione verso i loro bisogni. I bambini nelle cui famiglie avvengono maltrattamenti tra genitori, si trovano ad assistere direttamente, indirettamente e/o percependone gli effetti, a violenze fisiche, psicologiche, verbali, economiche, sessuali. Inoltre, vivendo in contesti violenti, non solo provano paura per l’incolumità propria e del genitore maltrattato, ma risentono di un doloroso senso di impotenza e incapacità per non poter fermare gli scopi di aggressività di cui sono spettatori. Questo senso di impotenza, a sua volta, può generare un senso di colpa acuto per non essere stati in grado di contrastare la violenza o addirittura per avere indirettamente causato le liti tra madre e padre.
Cosa comporta per un bambino assistere alla violenza tra i genitori ?
Assistere alla violenza di un genitore nei confronti dell’altro non solo crea confusione nel mondo interiore del bambino su ciò che è affetto, intimità, violenza, ma va a anche a minare il cuore delle relazioni primarie. La violenza assistita è una forma di maltrattamento che può determinare effetti a breve, medio, lungo termine e può rappresentare uno dei fattori di rischio per la trasmissione intergenerazione della violenza. Non esaurisce i suoi effetti nella sfera individuale o familiare, ma si riverbera in ambiti sociali più ampi che possono coinvolgere altre persone come gli amici, i compagni di scuola, gli insegnanti.
Qualcuno potrebbe pensare che in quest’ottica si arrivi a giustificare il comportamento violento…
Tutto ciò vuole essere una spiegazione e non una giustificazione del comportamento violento, e non mancano ricerche che hanno sottolineato come la trasmissione della violenza non sia un destino ineluttabile, ma solo una questione di maggiore o minore probabilità. Egeland ha condotto una ricerca seguendo i destini di un gruppo di bambini abusati, prima che venissero identificati come aggressori, in modo da evitare una selezione che si concentrasse esclusivamente sui soggetti già noti come violenti: ebbene, di questi bambini abusati, il 40% è divenuto a sua volta abusante (Egeland, 1993), il che semplicemente vuol dire che il 60% – la maggioranza – ha saputo o potuto interrompere il ciclo dell’abuso.
Quindi esistono fattori protettivi che sviluppano la resilienza in queste situazioni?
Come ben sai la famiglia è un fattore importantissimo per rendere conto di come una persona diventerà, esistono fattori protettivi e figure di identificazione positive e alternative a quelle eventualmente negative dei genitori che possono supplire e mutare il corso della storia individuale.
Grazie al contributo della Dott.ssa Valeria Gonzalez.
BIBLIOGRAFIA
3° Congresso Nazionale Cismai, Bambini che assistono alla violenza domestica, 11-13 Dicembre 2003, Firenze, www.cismai.it.
BOWLBY J. (1984), Violence in the family as a disorder of the attachment and caregiving systems. American Journal of Psychoanalysis, 44, 9 – 27
EGELAND, B. (1993). A history of abuse is a risk factor for abusing the next generation? In GELLES, R.G., LOSEKE D.R. (a cura di), Current Controversies on Family Violence. Sage, Newbury Park.
ONNIS, L. (1987). Psicosomatica e complessità, in ONNIS, L. (a cura di), Famiglia e malattia psicosomatica. NIS, Roma.
ONNIS, L. (2004). Il tempo sospeso. Franco Angeli, Roma.
VENTIMIGLIA C., (1996). Nelle segrete stanze. Violenze alle donne tra silenzi e testimonianze. Franco Angeli, Milano.
VENTIMIGLIA, C. (2002). La fiducia tradita: storie dette e raccontate di partner violenti. Franco Angeli, Milano.
WALKER, L.E. (1994). Abused women and survivor therapy. A pratical guide for the psychotherapist. American Psychological Association, Washington, DC.
GILLOZ L., DE PUY J., DUCRET, V. (1997). Domination et violence enverse la femme dans le couple. Payot, Losanna.