“(…) Il grosso del lavoro di cura sembra prima di tutto essere rappresentato dalla possibilità di costruire un orizzonte di senso, con un nuovo vocabolario e una nuova sintassi per parlare della propria vita, e per dare un nome alle proprie scelte. Per cui l’importante non è che si parli questa o quella lingua, ma che se ne trovi una da parlare molto bene, per la quale si sia portati. Questo verdetto, può essere considerato fonte di perplessità come fonte di tranquillità. (…) Le psicoterapie sono orchestre di aspetti psichici per cui ciò che diventa cura e oggetto di cura è la stessa relazione, i suoi toni, i suoi modi, come dire, il suo lessico familiare. Un terapeuta non si ritroverà ad avere lo stesso lessico con i suoi diversi pazienti, e il campo tra loro sarà costituito dalle parole che lui sceglie di usare, e da quelle del suo interlocutore. Ciò può essere perturbante, ma è anche profondamente corretto considerando le enormi diversità tra gli individui”.
Credo che queste affermazioni della psicologa analista e psicoterapeuta Costanza Jesurum descrivano molto bene ciò che avviene nello spazio terapeutico tra paziente (o cliente come ultimamente si preferisce indicare chi sceglie di fare psicoterapia) e Terapeuta. Come dico spesso alle persone che incontro nel mio studio, la terapia è innanzitutto l’incontro di due persone e di due storie che si ritrovano nello stesso posto per dare voce al dolore e processare un cambiamento.
Sono molte le aspettative rispetto ad un percorso terapeutico e può succedere che queste siano, soprattutto all’inizio, non realistiche perché falsate dai bisogni individuali e dai propri desideri. Per fare chiarezza credo sia opportuno soffermarci su cosa NON E’ LA PSICOTERAPIA.
- Non è un luogo di “coccole”. In psicoterapia si verificano diverse occasioni in cui circolano riconoscimenti positivi verbali (parole di incoraggiamento, di stima, di piacere…) e non verbali (sorrisi, una stretta di mano, un abbraccio, uno sguardo affettivo…), conforto e sostegno; tuttavia questo rappresenta una parte, seppur significativa, di tutto ciò che avviene in un percorso psicoterapico. È necessario nutrire fiducia nel proprio terapeuta ma non sentirsi “sempre e comunque” a proprio agio durante le sedute; anche grazie a questo disagio, al sentirsi a volte un po’ “scomodi” di fronte ad alcune domande o osservazioni del professionista, è possibile muoversi in direzione dei propri obiettivi.
- Non è magia. In circostanze di particolare sofferenza e problematicità le persone che decidono di intraprendere un percorso di psicoterapia esprimono, in modo più o meno implicito ed inconsapevole, un desiderio magico ed illusorio di risolvere il loro dolore, o la situazione che l’ha originato, in tempi rapidi e con un limitato impegno e fatica “emotiva”; non rari sono commenti simili “ho già sofferto abbastanza! Adesso non voglio più soffrire….se sono qui è per questo motivo….mi aiuti lei a trovare un modo per non soffrire più!” o ancora “ho bisogno di fare in fretta…..non voglio più perdere tempo in questo dolore!”. Lo psicoterapeuta non ha la bacchetta magica che utilizza risolvendo le situazioni, eliminando le sofferenze, risolvendo i sintomi, in un tempo ristretto. Egli mette la sua competenza, il suo sapere essere ed il suo saper fare al servizio di una relazione terapeutica, di un dialogo in cui i entrambi partecipano attivamente, ognuno con il suo bagaglio, nel rispetto dei tempi terapeutici necessari al cambiamento ed al raggiungimento degli obiettivi.
- Non è somministrazione di consigli. “…. e quindi, cosa posso fare? Mi dia qualche indicazione, qualche suggerimento…..sono proprio smarrito!…..chi mi conosce mi ha dato alcuni consigli, ma sono perplesso….non mi convincono per nulla…se invece mi dicesse qualcosa lei che è un professionista io sarei meno confuso”. Essendo realistico che tutti questi consigli incrementano complessità e confusione in chi li riceve possiamo affermare che l’ultima cosa di cui una persona che va in terapia ha bisogno è di avere un ulteriore consiglio, seppur di un professionista! L’obiettivo della terapia è di riscoprire le proprie priorità, i bisogni inascoltati e dargli voce e l’energia per poter agire su di essi; a volte è sufficiente riflettere insieme, da una differente angolatura, per far si che il cliente individui nuove alternative d’azione, più funzionali al suo benessere e che rispondono ai suoi bisogni e desideri. (http://www.studiopsicologo-torino.it)
Per questo, se si decide di intraprendere un percorso di vita bisogna tenere in mente che “la terapia diventa momento di ricostruzione e co-costruzione di racconti: trasforma il passato e sostiene il presente per cominciare a costruire il futuro”.
Penso che ciò che dovrebbe accadere è una consapevolezza del processo attraverso cui le emozioni appaiono, sono sentite, e sono condivise in un contesto relazionale(P., Bertrando).
Esiste un tempo e un luogo dove si depositano e si elaborano gli stimoli ricevuti e lasciati aperti dalla terapia. Stimoli che potranno produrre cambiamenti ed evoluzioni in tempi diversi. In questo senso, “la terapia inizia nel momento in cui finisce”.